Telefono Rosa nasce nel 1988, nel 1990 diventa associazione e nel 2006 una ONLUS. Quest’anno per i 25 anni di attività ha ricevuto una targa di riconoscimento dal Presidente Napolitano.


Ascoltare le donne per aiutarle a denunciare la violenza, anche quella meno evidente, subdola ma atroce, alla quale sono sottoposte quotidianamente, è la loro missione. Telefono Rosa è ormai una rete sul territorio nazionale, le consulenze sono gratuite e le operatrici sono volontarie. La ONLUS è ormai un pilastro della nostra società e per tenere viva l’attenzione su questa importante attività ho incontrato la Presidente e socia fondatrice Maria Gabriella Carnieri Moscatelli.

Dobbiamo lavorare sulla cultura ma anche sulla creazione di nuove leggi per far sì che lo sterminio delle donne venga a cessare. Lei come Presidente di Telefono Rosa cosa ci suggerisce?

Sono d’accordo, è importante lavorare sulla cultura come ad un miglior funzionamento della giustizia. È importante ricordare che la cultura e la preparazione che dobbiamo dare ai ragazzi è essenziale. Aggiungo una cosa, e non giustifico con questa affermazione il violento: quando ci accorgiamo che qualcuno è violento o ha un comportamento al di sopra delle righe, dobbiamo intervenire. Penso a quella ragazzina che in Calabria due settimane fa è stata uccisa e poi le è stato dato fuoco: il ragazzo mostrava segni di grande intemperanza da diversi mesi, se qualcuno lo avesse convinto ad incontrare uno psicologo avremmo, forse, evitato questo nuovo femminicidio! Credo che attraverso la crescita culturale si possa riuscire a stroncare questa piaga, ma nell’immediato dobbiamo cercare di parlare con il violento.

Dobbiamo avere una cultura di maggior solidarietà, questa un po’ manca.

Manca, ha ragione.

Una cosa fastidiosa venutasi a creare è che del femminicidio se ne fa un business…

Anche della violenza in famiglia se ne fa un business. Aggiungo un particolare: manca anche la preparazione. Nella mia lunga esperienza, ho visto cambiare la violenza nel tempo e ho notato una cosa importante: l’interesse degli uomini verso questo tipo di reato, qui vediamo donne accompagnate dal padre o dal fratello che danno loro un sostegno.

Questo è molto positivo!

Altroché! Quindi oggi siamo saliti su questo carro ma chi ci è salito è veramente preparato e convinto nella battaglia che dobbiamo portare avanti?

Questo è un atteggiamento critico che tutti dovremmo e dovrebbero assumere.

Io per prima non mi posso adagiare sul fatto che sono 25 anni che mi occupo di violenza.

Lei non si sottrae giustamente alla critica…

No, anzi dico che certe volte devo allargare il mio modo di vedere.

Come Telefono Rosa avete nuovi progetti?

Stiamo concludendo un progetto iniziato tempo fa, di preparazione del personale medico e paramedico negli ospedali e nei pronto soccorso: la preparazione in questi punti nevralgici, dove vanno le persone nei momenti di estremo bisogno, è importante.

Non devono essere in grado di curare solo le ferite del corpo ma di comprendere anche quelle dell’anima.

Sì, devono essere in grado di comprendere ciò che sta succedendo perché molto spesso la donna non te lo dice apertamente, ma cerca in qualche maniera di mandarti un messaggio e tu devi essere capace di intercettarlo.

L’altro progetto su cui stiamo lavorando, mi sta molto a cuore, si tratta dei giovani: la violenza assistita. Avendo una casa di accoglienza ci siamo accorti che i bambini, maschi e femmine che hanno assistito alla violenza all’interno della famiglia, sono soggetti bisognosi di sostegno. I maschi devono capire che l’esempio avuto non è da seguire e le femmine che l’atteggiamento remissivo della mamma non deve ripercuotersi su di loro per non diventare le future vittime.

La cultura è quindi importante.

Sì, in una società che è tutta violenta. Sottolineiamo però un’altra cosa: non tutti gli uomini sono violenti.

Certo, lo sottolineiamo con forza!

E chiederei un altro piccolo sforzo: che gli uomini partecipino di più a questi progetti.

Maria Giovanna Farina



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