Il regno della confusione



 

ILa confusione regna sovrana: appare del tutto evidente la tendenza a parlare di qualcosa e contraddire quel qualcosa in modo che non si capisca più nulla. Su un terreno così cedevole la pandemia ha aperto un varco per continue frane: molte certezze si sono dileguate. Chissà come andrà finire? Ci si chiedeva. La paura ha schiacciato per un lungo periodo, lo sappiamo tutti, la vita degli esseri umani mentre l'invito a progettare nel periodo di lockdown per intravedere un futuro nuovamente possibile si annientava con la martellante prospettiva di un virus immortale. Ed ora la guerra sta facendo proseguire il terribile stato di instabilità alle nostre povere esistenze.

Come riprendere in mano la situazione? Con l'educazione, termine desueto e troppo spesso frettolosamente sottovalutato. Prima di tutto ricordiamo che educare (dal lat. e-ducere) è tirar fuori e non mischiare, non deve essere confondere. Il termine confusione (dal lat confŭndĕre) è invece un mescolare insieme cose che andrebbero lasciate separate: ciò è precisamente quello che accade nella cultura di oggi. Il rapporto confusivo tipico della madre con il bambino è forse l’unica circostanza, a parte l’arte della cucina dove gli ingredienti si amalgamo confondendosi ed è giusto così, in cui la con-fusione genera il costruttivo. Se dire tutto e il suo contrario è possibile perché la cultura stessa ci mette a disposizione ciò che serve, essa è ricca di sedimenti secolari dove il pensare ha generato pensieri contraddittori; dall'altro lato la confusione di cui sto narrando è un tentativo di imporre una nuova cultura, quella della confusione a tutti i livelli. A chi giova? Perché ciò? Da filosofa non fornisco certezze ma invito alla riflessione, lascio a chi legge la facoltà di tirare le conclusioni, da parte mia c’è solo il desiderio di segnalare una tendenza deleteria soprattutto per bambini e giovani che si trovano a vivere in una società incapace di creare orizzonti limpidi, comprensione chiara delle emozioni, dei sentimenti, dei desideri. Un suggerimento lo posso però fornire soprattutto a chi desidera una inversione di tendenza: ricordo che esiste l'esempio, il famoso buon esempio da dare ai giovani. Un certo Jean-Jacques Rousseau, filosofo e pedagogista svizzero (1712-1778) sosteneva a proposito: ”Se ne faccio nascere di buone in altri non avrò affatto perduto il mio tempo”... Nella sua famosa opera pedagogica, L’Emilio, egli ritiene che bisogna distinguere i diversi periodi della vita dell’uomo, momenti in cui l’anima non è mai identifica a se stessa; l’educazione che viene in aiuto all’Emilio bambino-adolescente-adulto deve essere proporzionata alle condizioni che la natura porta con sé. Questa conformità con la natura individuale è il caposaldo della pedagogia moderna. Il nostro “essere quello che siamo” al di là degli schemi e delle convenzioni è la cosa più preziosa che l’educazione può consentirci di realizzare. Cosa possiamo fare per essere dei buoni educatori? Con Rousseau possiamo ricordare che “le lezioni devono essere azioni più che discorsi”. Nella nostra vita quotidiana conta di più l’esempio che tante parole. A questo proposito, basti pensare alla scoperta, ormai datata ma sempre valida, del 2006 di due biologi (Nigel Francks e Tom Rischardson) dell’università di Bristol pubblicata su Nature: esiste la formica maestra che insegna all’allieva come trovare il cibo. Si tratta di una vera e propria interazione tra maestra e allieva dove l’insegnamento basato sull’esempio porta ad un’evoluzione del comportamento come dovrebbe avviene per gli umani. Vogliamo farci superare dalle formiche?



Maria Giovanna Farina (Il Mattino di Foggia, 24 maggio 2022)