LA POTENZA DELL’IRONIA:

INTERVISTA AD ENRICO VANZINA


Quanto conta l’ironia nella nostra vita? Ho voluto chiederlo ad Enrico Vanzina, uno dei maestri del nostro cinema, e con l’occasione sapere qualcosa in più sul suo approccio alla scrittura.

Enrico Vanzina, infatti, è scrittore, sceneggiatore di celebri film, ma anche di pièce teatrali e di numerosi articoli. Nel 2013 ha debuttato con un giallo “Il gigante sfregiato” (ed. Newton Compton): il suo primo romanzo.



Cosa ti ha spinto a scrivere un giallo: il desiderio di sperimentare non finisce mai?

Ho scritto qualcosa come tremila articoli su varie riviste, dal Corriere della Sera al Messaggero e cinque libri, ma non avevo mai scritto un romanzo: praticamente ci ho messo quarant’anni. L’anno scorso mi sono svegliato una mattina con la trama in testa e stranamente questa trama era di un genere che io adoro, sullo stile del noir americano di Chambers: avevo la trama davanti agli occhi e l’ho scritto.

Quindi è proprio una svolta?

Certo, è una svolta che mi sta dando enormi soddisfazioni perché, oltre a vendere moltissimo, ha un successo di critica formidabile: la cosa mi fa molto piacere. E poi mi sono liberato da una schiavitù.

Quale schiavitù?

Quella del cinema, la cosa che ho amato e amo di più, ma mi piace l’idea di non aver sprecato questa vita all’inseguimento di un romanzo che non arrivava. La mia vita è stata coronata da un romanzo che mi dà molta soddisfazione.

Scrivere crea un mondo nuovo dentro di noi…

Sì, però questo mondo già c’è.

Sì, magari non ne eravamo a conoscenza e la scrittura ci permette di tirarlo fuori a volte con sofferenza, a volte non dormendo la notte.

È vero, mi svegliavo nel bel mezzo della notte per liberarmi di questa cosa che avevo dentro e dovevo raccontare.

Questa è proprio la funzione terapeutica dello scrivere.

È vero, verissimo! Aggiungo una cosa: Pascal, quando gli si chiedeva cosa bisogna fare per avere la fede, rispondeva che bisogna mettersi in ginocchio ed incominciare a pregare, ciò vale anche per lo scrivere. Gli scrittori che non scrivono sono come i musicisti che non suonano, chi fa lo scrittore non può stare due giorni senza scrivere. Scrivere è un bisogno, è una tecnica, è un modo di vivere.

Il nuovo film “Mai Stati Uniti” conferma il vostro successo e lo stile ironico di fondo che non manca mai. Con l’ironia si trattano con più facilità e spontaneità tutti i temi, lo avevo già compreso Socrate molto prima di voi…

Meno male!

Cosa ne pensi? Della scrittura, dell’ironia e del suo valore?

L’ironia è un modo innato dell’uomo che forse ci differenzia un po’ dal mondo animale, anche se pare ci siano animali spiritosi che vedono il mondo con ironia… L’ironia è una forma di difesa contro l’ingiustizia, la stupidità, la prepotenza, la violenza. L’uomo ha tra le sue riserve questa possibilità per mettere alla berlina l’idiozia, con questo misterioso fatto che è l’ironia può far vedere con un angolo diverso una cosa che dimostra anche i suoi lati buffi e ridicoli. L’uomo intelligente è sempre dotato di ironia, pensiamo ad Einstein: uno degli uomini più spiritosi del mondo.

Quindi il genere della commedia non va sottovalutato?

Il genere della commedia è stato un po’ sottovalutato dalla critica nel corso degli anni, ma viene fuori sempre di più quanto siano importanti gli autori che hanno usato l’ironia: da Plauto a Shakespeare, o Molière o Goldoni, hanno fatto tutti lo stesso livello di letteratura, di teatro o di cinema rispetto a chi ha scritto le cosiddette cose drammatiche che vanno a toccare il senso della vita. Mi viene in mente ad esempio Woody Allen che ha scritto un libro sull’importanza della filosofia nel cinema ed è convinto che attraverso l’ironia si possa capire il senso della vita.


E Socrate?

Quanto a Socrate nel momento stesso in cui cerca di capire dove giunge la conoscenza e arriva a dire che l’unica cosa che sa è che non sa… beh, il suo, credo, sia un atteggiamento ironico: è quasi una battuta da film di Woody Allen!


Maria Giovanna Farina © Riproduzione vietata

 




L'accento di Socrate