Intervista alla poetessa Victoria Surliuga*

Associate Professor di Italianistica alla Texas Tech University (USA).



Nelle tue poesie emerge anche un vissuto negativo, ma credo non sia necessariamente autobiografico. Di quale vissuto negativo parli?

Il vissuto negativo fa parte della vita anche se hai dei genitori splendidi, una vita che va in una certa direzione, decidi quando hai dodici anni che vuoi fare il medico o la ballerina e riesci a farti accettare in tutte le scuole che vuoi. Il negativo fa parte anche dell'osservazione nel senso che siamo tutti influenzati da quello che vediamo e da quello consumiamo in termini di produzione culturale intorno a noi. Ciò che si vede in narrativa è la tendenza verso il romanzo noir, la narrativa americana che viene tradotta in italiano va verso questa direzione, ciò che si chiama il male, la zona oscura. C'è una tendenza a ciò che una volta veniva identificato come il dualismo bene-male. Nel senso che adesso si tende al gioco sul grigio perché c'è una vacuità morale, non in senso di giudizio giusto o sbagliato, ma c'è una vacuità morale per cui si sta sempre nel mezzo. Non si prendono più decisioni, si sta in analisi tutta la vita sempre a rigirare la stessa cosa. C'è un periodo dell'analisi che è nero e disperazione, man mano ti conduce in discussione con te stessa portando delle narrazioni (narratives) nella tua vita. A questo punto devi scegliere se rimanere nelle narrazioni (narratives) o andare avanti, il problema dell'analisi è che tende a mantenerti in questa zona di fantasie. A ripetere questa storie con delle variazioni: va anche bene ma dipende quali sono gli obiettivi.

Se è quello di scrivere romanzi o risolvere le difficoltà e andare avanti.

Bisogna stare attenti a portare le persone alla risoluzione; alcune persone pur non sapendolo si identificano tanto col problema che portarle ad una liberazione porterebbe alla mancanza delle fondamenta della persona stessa. Bisogna essere più che sicuri che la persona sia pronta ad abbandonare il problema.

Il mio lavoro è infatti aiutare a tirar fuori le capacità di risolvere, quando è possibile, da soli la difficoltà. Quando sono molto radicati forse è meglio trovare una via di mezzo.

La questione sono gli obiettivi, se quello che vuoi fare è tornare ad essere una tabula rasa oppure quello che vuoi fare potrebbe essere tenere le quattro idee in testa e girartele intorno, spesso è difficile vivere senza certi problemi perché poi il vuoto da affrontare è grande.

Infatti molte persone fuggono dal problema per paura di affrontare il dopo.

Infatti, è proprio così.

Come hai iniziato a scrivere poesie, immagino da piccola? Cosa ti ha spinto a scrivere le tue considerazioni in versi?

Non uso particolarmente la metrica, infatti quando andavo all'università e mi sono laureata con Brodsky, Premio Nobel per la letteratura russo, una delle cose sulle quali avevamo maggiori conflitti era l'uso della metrica: lui era convinto che il futuro della poesia fosse la rima e per questo i suoi autori prediletti erano Auden e Frost. A me piacciono molto però non utilizzo la rima, mi piace pensare di scrivere poemetti in prosa, una prosa più rapida e di più agile consumo e funzionalità. Ho iniziato negli Stati Uniti nel primo anno di università, sono stata incoraggiata dai miei professori di storia. Da un punto di vista accademico e pedagogico per me andare negli Stati Uniti ha aperto molte possibilità e ha stimolato molto del mio pensiero critico, i miei temi in poesia sono soprattutto distorsione di quello che vedo e anche del vissuto e di quello che elaboro attraverso i sogni. Non mi piace particolarmente scrivere di gioia e di bene, sono attratta dalle espressioni negative della vita anche perché per l'ottanta per cento, da un punto di vista energetico, non siamo attorniati da positività. Lo vedo dalle persone intorno a me, vedo più infelicità che felicità, infelicità soprattutto per non essere in grado di realizzare sogni e ipotesi di successo per se stessi. La maggior parte dei miei colleghi vorrebbero essere dei premi Pulitzer, dei Nobel, vorrebbero essere dei grandi geni: chi riesce a raggiungere certi livelli deve lavorare molto più degli altri!

Per dirla molto banalmente: non bastano le capacità, se non fai fatica non arrivi da nessuna parte. Tu metti in luce gli aspetti più drammatici dell'infanzia, ritieni che l'infanzia dorata sia una cosa rara. Forse perché la famiglia perfetta non esiste e spesso dietro di essa si nascondono storie inconfessabili?

Certo, anche se non sempre l'infelicità nasce all'interno della famiglia. Esperienze infantili tranquille e felici ne ho viste molto poche. La maggior parte delle persone che conosco hanno avuto delle esperienze in famiglia fatte di rapporti di poteri in cui il/la bambino/a è intellettualmente molto più avanti rispetto ai genitori e si trovava ad essere schiacciato/a: fino quando uno riesce ad andarsene. Oppure per il motivo opposto, poche idee nei bambini in crescita e i genitori che schiacciano. Personalmente ho sempre avuto l'idea di andarmene di casa, mi sentivo come un'aliena depositata lì e questi due grandi che ti dicono cosa devi fare. Sono stata molto contenta di andare negli Stati Uniti, anche perché l'enfasi sulla famiglia che è molto mediterranea può castrare le persone, quando hai la vita nelle tue mani e non sei più legato agli obbligo-comando allora hai l'impressione di avere un futuro.

Hai avuto l'occasione ma anche la forza di andare.

È stata una mia decisione, poi ho ottenuto le borse di studio, è il destino che sceglie, tu poi puoi assecondarlo o rifiutarlo.

Hai assecondato l'occasione.

Sì, ma l'avevo già costruita perché piuttosto che essere interessata ad altro, ero interessata alla letteratura e pian piano le cose sono andate in quella direzione.

Perché hai intitolato il tuo libro di poesie Plastica?

Perché tutto intorno noi è fatto di plastica, perché è qualcosa di molto artificiale e non è nulla che tende ad amalgamarsi in natura e poi mi piaceva l'idea del permanere della bruttezza che la plastica rappresenta.

In che senso bruttezza?

La plastica è un materiale che in natura non si fonde di conseguenza crea dei piccoli scheletri di bicchieri, di piatti e quindi permangono le copie brutte degli oggetti che dovevano essere. Per Plastica io pensavo al materiale, i giochi d'infanzia e la plastica come artificialità nel senso che siamo tutti impossibilitati a raggiungere un certo grado di spontaneità. La spontaneità va contro ogni rapporto sociale, se fossimo veramente spontanei dubito che frequenteremmo lo stesso numero di persone. Se lasciassimo il mondo in mano alla spontaneità sarebbe un caos pre-contratto sociale.

Possiamo paragonare la spontaneità ad Eros la pulsione freudiana di vita e l’artificialità a Thanatos la pulsione di morte?

Esattamente, la spontaneità è dionisiaca. Comunque non necessariamente ciò che è artificiale bisogna metterlo in relazione a qualcosa di negativo. Bisogna fare attenzione alla nostra predilezione anche un po' falsa nei confronti della spontaneità.

Quindi tornando alla tua poesia, c'è sempre qualcosa di autobiografico ma anche qualcosa di ciò che conosci attraverso le esperienze altrui. Dopo tutto siamo tutti esseri-nel-mondo!

Ci sono delle esperienze che possono essere modello per gli altri e dipende da ciò che uno ha saputo imparare dalle proprie esperienze. Tantissimi libri di alta spiritualità sono stati scritti o in prima persona o in terza persona e questo non significa che le persone che li hanno scritti non siano riusciti ad oltrepassare il proprio ego, altrimenti tutte le vite dei santi andrebbero viste come esternazioni dell'ego.

Maria Giovanna Farina


Una poesia di Victoria Surliuga tratta da Plastica, ed Lietocolle

seduta nel mio lettino

a cinque anni

guardavo dalla finestra

le streghe in un comizio

mia mamma mi salutava

prima di uscire

 

andavo in cucina

a staccare la testa

della barbie

mangiavo una fetta di crostata

bevevo una tazza di latte

 

più tardi le streghe venivano

a prendersi la testa

lasciata sul balcone



*Le sue numerose pubblicazioni includono un volume di traduzioni delle poesie di Giampiero Neri, Natural Theater. Selected Poems 1976-2009 (New York, Chelsea Editions, 2010) e Uno sguardo sulla realtà. L’opera poetica di Giampiero Neri (Novi Ligure, Joker, 2005). Si è occupata del rapporto tra pittura e poesia in Giambattista Marino, del Casanova di Fellini e la poesia di Andrea Zanzotto, della poesia di Franco Loi e Giancarlo Majorino www.victoriasurliuga.com



L'accento di Socrate