Intervista a Michele Marsonet, il filosofo cosmopolita

docente di Filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane Università di Genova



Professor Marsonet cosa si intende per metodologia delle scienze umane?

Il termine nasce dalla constatazione che la “unità del metodo scientifico”, propugnata dal neopositivismo logico e in una certa misura anche da Popper, crea grandi problemi. Già gli storicisti tedeschi, e in particolare Max Weber, avevano notato che tra il mondo empirico e naturale da un lato, e il mondo umano dall’altro vi sono differenze spesso incolmabili. Il primo è regolato da leggi che noi non creiamo, ma ci limitiamo a scoprire. Il secondo è invece creato da noi nel senso più pregnante della parola. Il primo è per l’appunto il mondo delle leggi e della spiegazione. Il secondo include, tra l’altro, credenze, sentimenti, emozioni, desideri etc., il che significa che è il mondo della comprensione e dell’empatia (tra esseri umani). Detto questo, ancor oggi i filosofi sono divisi al riguardo. Chi continua a seguire le tesi positiviste e neopositiviste ritiene che, per essere definite “scienze” a pieno titolo, anche quelle umane (o storico-sociali, come alcuni preferiscono chiamarle) debbano conformarsi al modello Popper-Hempel della spiegazione scientifica, basato su quanto si fa nelle scienze empiriche e naturali e soprattutto in fisica, considerata “la” scienza per eccellenza. Chi rifiuta tale approccio adotta un modello che grosso modo potremmo definire “ermeneutico”, il quale non si propone di spiegare ma di comprendere i significati di quanto avviene nel mondo umano. Si noti che anche il secondo Wittgenstein, quello delle Ricerche filosofiche e di Della certezza, appartiene a questa seconda tendenza. Il dibattito è tuttora apertissimo. Negli ultimi decenni l’approccio ermeneutico è prevalente, mentre prima dominava quello neopositivista.

La Filosofia della scienza che applicazione può avere nella vita quotidiana?

La filosofia, forse con l’eccezione dell’etica, non ha mai un’applicazione diretta – ma sempre mediata – nella vita quotidiana. La filosofia della scienza insegna innanzitutto ad adottare un approccio critico nei confronti della scienza e della tecnologia, mettendone in luce pregi e difetti. E’ un compito importante, considerato il peso che scienza e tecnologia hanno assunto nella società contemporanea. Approccio critico significa evitare ogni forma di idolatria scientifica e tecnologica, riconoscendo al contempo che la scienza e le sue applicazioni tecnologiche hanno modificato in misura rilevante la nostra vita e il nostro modo di rapportarci alla realtà circostante. Si può citare comunque un esempio concreto. Karl Popper, il più grande filosofo della scienza del ‘900, applicò il suo metodo epistemologico delle “congetture e confutazioni” nell’analisi della politica e della società in opere celebri quali La società aperta e i suoi nemici e Miseria dello storicismo. Con questo divenne anche un filosofo politico di prima grandezza e un teorico del liberalismo, pur restando in prima istanza un filosofo della scienza.

Lei ha frequentato molte università estere, quali differenza ha intercettato rispetto a quelle italiane?

Dipende dai Paesi che si prendono in considerazione. Non c’è molta differenza, per esempio, tra le nostre università e quelle spagnole o francesi. Più marcate quelle con le università tedesche, dove il corpo docente è più “gerarchizzato” rispetto al nostro, con il professore ordinario che ha a disposizione schiere di assistenti. Io dopo la laurea italiana ho vinto una borsa di studio per Oxford e in seguito sono andato a conseguire il dottorato a Pittsburgh negli USA. Il mondo universitario anglosassone è quindi quello che conosco meglio, avendo più tardi insegnato anche a Melbourne in Australia. La differenza è che in Italia le università sono tutte molto simili con qualche eccezione (i Politecnici, Bocconi, LUISS e poche altre). Sono università generaliste dove si insegna tutto. Nella realtà anglosassone esiste la tendenza a specializzarsi in certi campi. Io andai a Pittsburgh perché lì c’è uno dei migliori Centri di Filosofia della scienza nel mondo. Altra differenza è data dal fatto che, soprattutto negli USA, gli atenei vengono rigidamente classificati. Si va dalle eccellenze assolute come Harvard, MIT, Columbia etc. a sperduti college di provincia, presenti in ogni Stato americano. I titoli che si conseguono non sono affatto equivalenti, mentre da noi le lauree sono – per ora – tutte sullo stesso piano. Infine vi sono Paesi emergenti come la Cina in cui il governo investe molto sull’istruzione superiore, e che stanno rapidamente diventando competitivi a livello internazionale.

Che rapporto hanno le donne con la filosofia? Cartesio le riteneva più adatte, lei cosa pensa?

Non penso che la capacità di fare buona filosofia dipenda dal sesso, non è un elemento rilevante. E’ invece cresciuto in misura notevole negli ultimi decenni il numero delle filosofe, alcune delle quali hanno conseguito la celebrità sul piano internazionale. Si sono inoltre sviluppati gli studi di genere, e la filosofia femminista, articolata in varie correnti, è ormai una presenza costante (almeno nel mondo occidentale). In un primo tempo la filosofia femminista si è diffusa soprattutto in ambito anglosassone, in primis negli USA, e poi è diventata rapidamente importante anche in Europa, Italia inclusa. E’ un fenomeno interessante perché vedere filosoficamente il mondo “dal punto di vista delle donne” aggiunge valore alla filosofia in quanto tale. Anni fa ho organizzato uno dei primi convegni italiani sul tema “Donne e filosofia”, e poi è uscito il volume degli Atti a mia cura con lo stesso titolo. È andato completamente esaurito, e ciò significa che l’argomento è diventato importante per tutti, e non solo per le donne.

Maria Giovanna Farina




L'accento di Socrate