Intervista a Vincenzo Costa



Vincenzo Costa insegna filosofia teoretica presso l’Università del Molise. Studioso del pensiero contemporaneo, si è occupato a lungo della tradizione fenomenologica, ed in particolare di Husserl, Heidegger e Derrida.

Il suo ultimo libro è: I modi del sentire Un percorso nella tradizione fenomenologica Quodlibet Studio. Discipline filosofiche, 2009

D. Professor Costa, qual è l’approccio alle emozioni del filosofo fenomenologo?

R. Bisogna fare una differenza tra il modo di analizzare le emozioni da un punto di vista filosofico e come invece vengono analizzate su un piano neuroscientifico. Per il filosofo fenomenologo non è rilevante ciò che avviene nel cervello, infatti sapere ciò che avviene nel cervello quando sono innamorato, quando ho paura, quando sono angosciato, potrebbe essere del tutto irrilevante per capire ciò che mi sta accadendo. Se quando ho paura qualcuno mi dice che è solo un processo chimico che accade nel mio cervello, questo non solo non descrive ciò che mi accade, ma descrive solo uno stato fisico. La fenomenologia a partire da Husserl ha cercato di far emergere come le emozioni scaturiscono dai rapporti che l’esistenza intrattiene con se stessa. Ad esempio, fenomeni come l’angoscia o l’ansia ci può sembrare di individuarli negli animali, tuttavia essi non vivono l’angoscia e l’ansia come la viviamo noi. Perché dal punto di vista fenomenologico la struttura della coscienza umana, o dell’esistenza a seconda di come la si voglia chiamare, è una struttura di carattere temporale. L’essere umano ha una comprensione più o meno esplicita o implicita di se stesso come un essere temporale, c’è un rapporto col tempo in tutte le cose che noi facciamo. La fenomenologia analizza l’esperienza che il soggetto fa delle proprie emozioni

D. Che tipo di esperienza viviamo nelle emozioni?

R. Fenomeni emozionali come l’ansia, l’angoscia, la depressione, sono riconducibili al rapporto che il soggetto intrattiene col tempo

D. Parliamo dell’ansia

R. Nell’ansia il soggetto ha un rapporto col tempo come se il tempo fosse sempre troppo avanti rispetto a lui

D. È come se dovesse sempre corrergli dietro?

R. Sì, Il problema delle emozioni negative o positive, o meglio delle tonalità emotive, è un problema di essere in tempo o di essere fuori tempo. Bisognerebbe abbandonare un vecchio modo di pensare la struttura dell’umano, cioè l’idea che l’essere umano sia da una parte corpo e dall’altro anima, psiche, mente. L’analisi della fenomenologia ci dice che l’essere umano non è l’insieme di due nature, ma è un essere fatto di tempo

D. Gli stati emotivi positivi che rapporto hanno col tempo?

R. L’analisi fenomenologica ci insegna a distinguere almeno tre tipi di emozioni. Il primo tipo come il solletico, il disgusto. Poi sentimenti come l’amore o la paura. E infine emozioni, che credo molto diverse, come la noia, la depressione o l’ansia. Tutte hanno una struttura molto diversa e quindi un rapporto molto diverso col tempo. Sensazioni come il disgusto, la vera e propria nausea fisica, molto spesso vengono considerate emozioni perché hanno a che fare col piacere/dispiacere. Io non le considero emozioni vere e proprie perché lì non si manifesta alcun oggetto, senti pungere la schiena ma non sai cosa ti sta pungendo, non potresti dirlo. Sono situazioni che non hanno a che fare col sé. Sono solo stati psicofisici, nulla di più. In caso di emozioni in cui c’è un oggetto, allora possono essere positive o negative

D. Qual è l’oggetto che dà emozioni?

R. È un oggetto che viene compreso come una possibilità. Una persona che amo che cosa è? È una possibilità della mia esistenza: se mi dice sì la mia esistenza può essere più ampia, più libera, si apre sul futuro, se mi dice no è il futuro che si chiude su di me. Se passo un concorso, mi apre la coscienza verso il futuro. Se non lo passo mi chiude, significa che le possibilità mi vengono sottratte

D. Con le emozioni cosa avverte il soggetto?

R. Avverte che la vita gli viene sottratta o che invece essa può crescere su se stessa. Se invece parliamo di tonalità emotive, lì non c’è un oggetto definito. Quando sei depresso non c’è un oggetto specifico, ci sono emozioni che si espandono su tutto il tuo mondo. Nella depressione è tutto il tuo mondo che diventa privo di interesse per te, tutto ti diventa grigio. Nelle tonalità emotive negative ciò che mi viene sottratto non è l’oggetto (la donna che amo non mi ama), ma mi viene sottratta l’esistenza in quanto tale. Nella depressione non c’è più nulla che mi tocca, quindi viene meno, secondo me, la funzione centrale nella psiche umana, quella che lancia il soggetto nel futuro cioè la volontà. Nella depressione il soggetto viene meno, la psiche si disfa perché la volontà, non avendo più a disposizione le emozioni che aprono al possibile, non può più esprimersi

D. Quindi anche la filosofia fenomenologica definisce le emozioni positive e negative?

R. Non mi piace la definizione. Potremmo parlare di emozioni che aprono al mondo e di emozioni che chiudono

D. Così è davvero più chiaro perché viene fuori il rapporto fenomenologico: se aprono agli altri o se chiudono agli altri

R. Sì, aprono al mondo, al possibile, al tempo, al futuro e agli altri. Ci sono emozioni che chiudono agli altri come l’invidia. La gelosia non apre agli altri, sono negative perché spezzano la relazione. Sono emozioni di chiusura che producono molto spesso dei rapporti con l’altro puramente immaginari, con la chiusura l’altro non si manifesta e sull’altro vengono proiettate immagini del soggetto

D. Nelle emozioni di apertura (positive) che tipo di rapporto c’è con il tempo?

R. Le emozioni positive ti aprono al futuro, il nostro mondo è fatto di tutte le possibilità che incombono su di noi. Esse ci fanno sentire vivi perché ci mettono davanti ciò che noi possiamo essere

D. Allora con le emozioni di apertura non si rincorre il tempo?

R. No, qui il tempo ti apre a ciò che puoi essere e quindi ti invita ad agire nel mondo con gli altri. Il futuro diventa il luogo della possibile realizzazione di sé. Mentre nelle emozioni di chiusura il futuro è già passato. Per chi è depresso nel futuro non può accadere più nulla

D. Si sente bloccato, perché il futuro è importante

R. Ci sono forme di disagio psichico che consistono in uno strano rapporto tra il passato e il futuro, dove il futuro non è più il luogo del possibile

D. Una cosa molto interessante da raccontare ai lettori è: che cosa è l’empatia?

R. La parola empatia è molto usata, nei modi più vari copre una quantità di cose che non possono stare insieme e quindi diventa molto equivoca. Empatia vuol dire che io capisco ciò che sta vivendo l’altro? O vuol dire che io vivo ciò che sta vivendo l’altro? Se vuol dire che io sto rispecchiando ciò che sta vivendo l’altro questo non vuol dire che io sto comprendendo l’altro. Se io rispecchio la tua ira, se empatizzare vuol dire che io sento la tua ira, vuol dire che sono arrabbiato? Ma questa è una sciocchezza! Se tu sei arrabbiato con me, io non sono arrabbiato con me. Possiamo parlare di empatia in un rapporto madre-bambino nei primi mesi di vita. Se empatia vuol dire vivere quello che l’altro vive, questa cosa non esiste. Suggerire a qualcuno, per esempio nella relazione di cura, la necessità di empatizzare con l’altro è pericolosissimo e sbagliato. Se dici ad un’infermiera di empatizzare con un malato terminale, dici un’emerita sciocchezza perché in questo caso empatizzare vorrebbe dire essere attratti dentro l’emozione negativa del paziente. Beh, credo che se empatizzasse non potrebbe essere più d’aiuto al paziente

D. Perché finisce dentro di lui

R. Qui non si tratta di sentire ma di essere attratto dentro l’emozione dell’altro. Spesso accade. Ad esempio diciamo: “Entra quella persona e ammorba l’aria”, vuol dire che quando entra quella persona il possibile svanisce. A volte si ha una moglie o un marito super depresso che quando sono fuori sono vivi, vivaci, ma appena si avvicinano a casa cominciano ad entrare in un’atmosfera plumbea, lì non è un problema di empatia ma che l’atteggiamento negativo dell’altro incide sulla tua stessa vita. Ma non stai empatizzando con l’altro!

D. Per concludere, il termine empatia cosa significa?

R. Il termine empatia lo abbandonerei, mentre direi che la struttura della relazione deve mantenere la dualità: solo soggetti separati possono entrare in relazione. Soggetti separati sono quei soggetti in cui l’uno è un segreto per l’altro, se è un segreto è qualcuno da scoprire. Potremmo sostituire la parola empatia con la parola interazione. Io nella relazione con l’altro non sento quello che sente l’altro ma sono continuamente modificato dall’altro e a mia volta lo modifico. Tu non sai cosa penso io e cosa sento io. A volte in una relazione affettiva ci sono due persone e una dice all’altra: “Cosa stai pensando?”. Anche se ciò accade a molti di noi, con questa domanda esprimo un desiderio perverso che è quello di abolire la differenza tra sé e l’altro

D. Nella filosofia come cura mi devo rivolgere all’altro senza farmi condizionare dai miei vissuti, e poi?

R. Dopo che hai permesso all’altro di manifestarsi non devi annullare te stesso, questo è applicabile in qualsiasi relazione di dialogo (con la moglie, con l’amico, col concorrente politico) cercare di chiedersi cosa penso di lui, quali sono i miei pregiudizi su di lui

D. Questo ti permette di aiutarlo?

R. Esatto, perché quando l’altro parla il suo discorso diventa qualcosa che interagisce e che modifica il tuo pregiudizio. Ti avevo vista vestita così e mi ero fatto delle idee su di te, adesso parlo con te e ho cambiato opinione


Maria Giovanna Farina