La
parità nasce dal rispetto
Anche
quest'anno celebriamo la Giornata internazionale della donna,
un momento in cui non dobbiamo dimenticarne l'origine storica
nata dal sacrificio di molte donne sfruttate sul lavoro: in
Italia l'8 marzo del '46 fu riconosciuta questa Giornata e per
l'occasione venne scelto come simbolo la mimosa. Oltre ai
dibattiti e agli incontri, direi che è utile anche da
casa riflettere sulla condizione della donna che in certi paesi
è a dir poco scandalosa e anche qui, nel nostro dorato
Occidente, le donne non se la passano poi così tanto
bene anche se possono guidare l'auto e denunciare i loro
aguzzini. Non pensiate subito che sono contro il femminismo
storico, è stato un movimento utile al riscatto
femminile, a rendere consapevoli le donne della loro possibile
emancipazione, ma ora dobbiamo lavorare per raggiungere una
vera parità tra i generi. Dobbiamo andare avanti
mantenendoci lontane da visioni troppo di parte della
condizione femminile. Dobbiamo andare avanti soprattutto
smettendo di usare il “corpo”… per andare
avanti. L’8 marzo è una ricorrenza da celebrare
unite al di là delle singole appartenenze politiche,
religiose, sociali; l'8 marzo è un giorno simbolo di un
intero anno di solidale collaborazione. La parità si
conquista non con gli slogan, ma con la volontà di
dimostrare che le donne hanno un valore fondamentale per il
vivere sociale. Qualcuna potrebbe subito obiettare: “E
già, noi dobbiamo sempre dimostrare!”, sì,
in parte è vero, però non fermiamoci qui,
allarghiamo lo sguardo e rivendichiamo l’esistenza di una
reale parità dei diritti e dei doveri, a partire, e ciò
è imprescindibile, da quella intellettuale. Accanirsi
contro maschi maschilisti, fautori dell’oggettualizzazione
del corpo femminile e del suo mercimonio, non è utile e
non induce loro a cambiare modo di pensare: quel tipo di maschi
continuerà a deridere, non solo alle spalle, di chi li
critica. Sarebbe solo una perdita di tempo e di prospettiva,
rivolgersi e dialogare con i maschi non maschilisti è
invece la strada giusta. Inoltre ci sono ancora donne
sottomesse alla mentalità fallico-centrica, quella
visione delle cose che riconosce nel maschio il principio di
suprema autorità. Ci sono ancora purtroppo donne
cosiddette emancipate che pur essendo colte e capaci hanno la
necessità, a volte inconsapevole e incistata nel loro
più profondo ed intimo essere, del riconoscimento di un
uomo, anche se è inferiore per competenza ed erudizione,
che legalizzi il loro operato culturale e/o progettuale. Con
buona probabilità trovandosi di fronte ad una donna che
respinge tale approvazione e non baratta il proprio corpo, ma
neppure la propria mente per un gradino del successo, i maschi
potrebbero essere incentivati a mettersi in discussione. Come
liberarsi dallo stereotipo della necessaria legalizzazione
maschile? Magari partendo dalla considerazione che un grande
filosofo come Socrate fu iniziato alla conoscenza dell'amore da
una donna, seppur mitologica, ossia Diotima di Mantinea. Quale
esercizio si rivela utile per credere nella parità?
Partiamo dalle parole che hanno un peso considerevole:
ricordiamo che siamo prima di tutto persone. Il
termine persona secondo la Treccani.it ha il seguente
significato: “Individuo della specie umana, senza
distinzione di sesso, età, condizione sociale etc.,
considerato sia come elemento a sé stante sia come
facente parte di un gruppo o di una collettività.”
Siamo tutti persone e quando si entra in dialogo si è
persone al di là del genere. Ma cos’è il
genere? Domanda che ci conduce in un luogo composito, si nasce
maschi o femmine e poi si può incontrare una complessità
legata alla mancata sincronia tra genere, identità di
genere e sessuale. Noi che vogliamo dialogare a chi ci
rapportiamo se non ad una persona? La persona è un
sistema, un insieme di caratteristiche psicologiche, di organi
vivi, di modi di pensare, di differenti filosofie. Siamo un
sistema in cui le parti vivono in sintonia tra loro e allo
stesso tempo rispettano una gerarchia di priorità.
Facciamo un esempio un po’ ironico. Il fegato non si
sognerebbe mai di prendere il posto del cuore o del cervello,
organo questo ultimo capace di tenere insieme tutto il sistema.
Il cervello rende possibile una mente, un rapporto che ha dato
molto da pensare e da dibattere alla filosofia stessa; per Renè
Descartes nel XVII sec. mente e corpo sono due realtà
ontologicamente separate che si incontrano in un punto... Per
la concezione filosofica contemporanea il cosiddetto
mind-body-problem,
il rapporto problematico tra mente e corpo, fa riflettere anche
sul fatto che il cervello è l’unico organo
corporeo che rende possibile qualcosa di immateriale come il
pensiero. Ecco la complessità della persona emergere
nella sua totalità: siamo corpo, siamo mente e
spiritualità intesa come possibilità di andare
oltre noi stessi nel luogo dell’imperscrutabile. Siamo
dunque persone, non potremmo mai dialogare come genere
femminile o maschile o come orientamento sessuale… Noi
entriamo in dialogo con tutte le nostre categorie. Categorie,
un termine che esprime aspetti presenti in ognuno; ad esempio
il materno, il femminile oltre al maschile e al paterno vivono
in noi al di là del genere, le categorie si formano
anche grazie all’interazione sociale e alle esperienze
relazionali. Questa è la parità intrinseca negli
esseri umani, la parità che vive da sempre dentro di
noi, una parità spesso dimenticata e che l'8 marzo
potrebbe rimettere in luce per renderla reale nel vivere
quotidiano.
Maria
Giovanna Farina (Il Mattino di Foggia,8 marzo 2022)
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